La primavera

Con l’avvicinarsi dei mesi primaverili, finalmente, giungevano altri giorni del calendario segnati in “rosso”, come le bramate feste di Pasqua, il 25 Aprile ed il 1 Maggio, festività che, a seconda del tempo, permettevano non solo di organizzare le consuete “sgambate” a calcio ma anche qualche scampagnata alla "Fossa di Bolgheri", o “zingarate” al mare, con la speranza di “inciampare”, appunto, in una bella giornata di sole per il primo bagno dell’anno.

Le vacanze di Pasqua erano anche un modo per stare in compagnia degli amici “estivi” che ritornavano al paesello castagnetano ma erano anche giorni che avevano un suo aspetto religioso-tradizionale, incominciando dalla Domenica delle Palme, quando, a fine Messa era solito, come tutt’oggi, andare per le case a vendere l’olivo benedetto... quello colorato “d'argentato”... si intende, con il ricavato pro-parrocchia. Ma ci fu qualcuno che, dopo essersi procurato dei bei rametti “verdi” d'olivo (e non sempre benedetti!), pensò bene di andarli a vendere anticipando sul tempo la concorrenza degli altri bambini (coloro che vendevano quelli “argentati”), al fine di racimolar qualche moneta da spendere poi in vizietti propri.

Non si poteva assolutamente mancare il Giovedì Santo alla funzione della “lavanda dei piedi”, prima nelle vesti di chierichetti, a fianco di padre Andrea, e poi, con gli anni, entrando nella “formazione” dei Dodici Apostoli insieme a Paolone, Batino, Ginetto e Mario der Palagi... (gli immancabili) il fedele assistente del parroco. Con quest’ultimo si era innescata una vera diatriba: durante la Messa, all’inizio della predica, il chierichetto Macario, con uno scatto veloce, anticipava sempre sulla corsa lo stesso Mario andandosi a sedere nella sedia del prete (la preferita del Palagi), facendolo immancabilmente arrabbiare. Ma era la mattina del Venerdì Santo, giorno della processione, quella più sentita da tutti perché c’era da “correre” a prendere la cappa che veniva assegnata, rigorosamente, dalla perpetua Utimia (la nonna di Aise, scomparsa ultra centenaria): ai bambini più piccoli, ossia quelli delle Elementari, veniva data la cappa bianca che voleva dire, automaticamente, portare quei cartelli che stanno a indicare le “fatiche e le sofferenze” patite da Gesù sulla via del “Calvario”. Tutto ciò, però, implicava il fatto di dover stare in pre-allarme fino al momento dell’assegnazione dei cartelli (consegnati pochi minuti prima dall’inizio della processione) perché c’era da evitare quello che recava la scritta “SITIO” (sete/acqua): lo sfortunato bambino sarebbe dovuto andare da solo e mestamente in “testa” alla processione, dove facevano da apripista il duo castagnetano Chiocciolone-Bibi addetti al trasporto della grande croce in legno. La cappa nera, invece, era assegnata ai ragazzi che solitamente frequentavano le Medie e le Superiori, i quali avrebbero dovuto portare le fiaccole, il baldacchino e la scultura in legno di Gesù morto. Ma qui c’era una precisa gerarchia: i più giovani iniziavano a “far gavetta” portando la fiaccola, poi, con gli anni, sarebbero passati di “grado” e “autorizzati” a trasportare prima il baldacchino e, poi, Gesù morto. Insieme alla cappa nera veniva consegnato anche un cappuccio che, spesso, al termine della processione, non veniva restituito in modo da poterlo indossare per andare a suonare i campanelli per tutto il paese. A fine processione, inoltre, prima di lasciare la chiesina del SS. Crocifisso, da prassi, c’era da ritirare il “panino bianco benedetto” (rigorosamente fatto dar Nannini) elargito dalla Confraternita della Misericordia a tutti i partecipanti: solitamente veniva mangiato subito anche perché, dopo il lungo e faticoso tragitto, saltava sempre fuori un certo languorino allo stomaco. Tra gli incappati in bianco, ma extra-processione, si distingueva l’onnipresente Ginetto che, per tutta la serata, strascicandosi da una lastra all’altra, andava in giro a racimolar offerte con il classico “bussolo” (facendo tintinnare le monete) pronunciano, a ripetizione, la “parola magica”: - “Misericordia...!” Alla processione partecipavano tutti: credenti e non credenti, laici e cattolici, devoti e non devoti, piccoli e grandi, compreso il facinoroso gruppetto di giovani della “Casenòve” (ideatori e responsabili delle vendite dell’olivo benedetto non “ufficiale”). Una volta, però, si lasciarono andare in un atto di insubordinazione a causa di una “saettante” battuta lanciatagli da padre Andrea. Dall’alto muretto della chiesa di San Lorenzo, il prete, vedendo questo gruppo poco assiduo alle pratiche religiose entrare nell’oratorio del SS. Crocifisso per ritirare le cappe, gli esclamò:

- Arrivano i giudei?!

I ragazzi, a quelle parole, gli replicarono stizziti:

- A sì...! Allora, stasera ’r bardacchino te lo porti da solo...! (facendo retromarcia all'ingresso della chiesina)

A proposito di padre Andrea (il vero prete di un tempo, per intendersi alla Don Cammillo) c'è da dire che, oltra ad essere stato un appassionato di grappa e vino, fu un accanito tifoso calcistico del suo amato Verona (luogo natio). Cosi (correva l''anno 1985), mentre la sua squadra del cuore si apprestava, domenica dopo domenica, a vincere lo scudetto dichiarò pubblicamente che nel giorno matematico della vittoria avrebbe fatto una scampanata infinita: così fu! Ma non poté sottrarsi dallo scherzo che gli tentarono alcuni chierichetti più grandi: prima dell'inizio della Messa, i ragazzi sversarono l'ampollina del vino sostituendo il tutto con della grappa "scura". Durante la celebrazione, dopo che il padre, ebbe bevuto esclamò ai fedeli in maniera sorridente:

- O m'hanno avvelenato... o questa è grappa forte come piace a me!!!

Oltre alla processione del Venerdì Santo c’è da ricordare, poi, quella più suntuosa che si svolge, ogni tre anni, nel mese di Maggio in onore del SS. Crocifisso (per le Feste Triennali) ma che ha sempre coinvolto noi ragazzi soltanto da spettatori. Ricordo, tuttavia, di aver fatto visita nella chiesa di San Lorenzo ai giovani volontari della Misericordia che, a turno, facevano la “sorveglianza” al Cristo in legno, riposandosi in brandine posizionate nella sacrestia. Una sera (correva l’anno 2003), alla presenza di Davidana e del Martelucci (all’epoca impresari di pompe funebri), si ebbe la brillante idea di aprire uno dei misteriosi “ossari” il cui accesso si trova in mezzo alla navata centrale della chiesa. Il tempo di mettere in atto il piano d’azione che, in breve tempo, comparvero alla luce degli scheletri secolari; poi, a lavoro ultimato, Davidana, come per rilassarsi dalla fatica e per compiacersi di quanto era riuscito a fare e vedere, si mise sul muretto fuori della chiesa a gustarsi, uno dietro l’altro e in quantità esagerata, i crostini di Tore; in poco tempo riuscì a mandarne giù circa 50 recapitatigli dentro due scatole di cartone da asporto della pizza: - Buon Pro... Davidana!

Comunque va raccontata pure questa (correva la fine degli anni Ottanta, al tempo di padre Sergio): pare - così la narrano loro stessi - che in un pomeriggio, il duo Puti-Tripoli, entrò di nascosto in sacrestia della chiesina dell'ex asilo e, trovando un sacchettino pieno di ostie, non ci pensarono due volte a buttarle giù... naturalmente... finendole tutte!

Ogni lunedì di Pasquetta, inizialmente, era dedicato alla pesca che accomunava un po’ tutti noi ragazzotti: “capo branco” era l’esperto Prof., grazie all’insegnamento ricevuto, fin dalla giovane età, dallo zio Rustica. Si partiva da Castagneto alla volta della "Fossa di Bolgheri": chi in motorino, chi in Vespa e chi, addirittura, in bici. Le zone più ambite sono sempre state la “Buca di Cudero” (loc. “Badia”) e la “Cateratta” (loc. “Guado al Melo”). Qui ci si disponeva lungo gli argini, naturalmente forniti anche delle prime “birrette” che venivano messe in fresco nel greto del fosso. Si era liberi di pescare qualche "Lasca" e qualche "Barbo" quando ancora non serviva la licenza: un canna, un rotolino di filo, piombini, alcuni galleggianti e ami di riserva... tutto quello che necessitava. E le esche? I bachi da “sego” venivano comprati a Donoratico, presso il negozio di caccia e pesca "der Guazzelli" mentre se si trattava dei famosi “baconi” si passava a farli direttamente nella concimaia del mi’ zi’ Iriano in località “Renaione”. Una volta, “rifornitomi” in grande quantità di bachi da “sego”, ebbi la brillante idea di lasciarli dentro un vaso posizionato fuori l’uscio di casa della mi’ nonna Argia che abitava al secondo piano. La mattina successiva, quando andai da lei, la trovai a “buco ritto” sul portone del palazzo che stava raccattando, con scopa e granatina, questi piccoli bacherozzoli i quali, in qualche maniera, erano riusciti a fuggire e a scendere tutti i pianerottoli delle scale... si trattava di qualche centinaia di bachi... che scena! Divenendo sempre più “garosi” della pesca, con gli anni, incominciammo anche a sondare gran parte del nostro territorio: dal “Seggio” al “Gozzo di Rapè”, dalla “Cava delle Rena” alle “Dighe dell’Ornellaia” ma qui c’era da star all’erta e pronti a fuggire se scoperti sul fatto dalle guardie del marchese. Una volta maturata la nostra esperienza di pesca ci dedicammo alla cattura di pesci più impegnativi: "Cavedani", "Pesci Gatto", "Persici Sole o Trota", "Carpe" e qualche "Anguilla", quest’ultima pescata con i “filaccioni” gettati nel “Gozzo di Rapè” con esca di "polmone" offerta dal macellaio Ope con la solita battuta:

- Anche oggi andate a fa' la pesca der Giunti: acqua fino ai 'oglioni e pesci punti...!

Con gli anni, poi, allargandosi il gruppo di amici e con la presenza delle prime “donzelle”, per i giorni di festa, quali 25 aprile, 1 maggio o per la stessa Pasquetta, si incominciarono a cerca dei luoghi più consoni ad una scampagnata e dove iniziarono anche le prime "vandalate". Una volta, dopo lunghe “preghiere”, riuscii a farmi concedere dar mi' zi’ Sant’Antonio (per ben due anni di seguito) il podere della “Badia”, nei pressi della "Fossa di Bolgheri"; e, ribadisco, solo due anni perché non ci fu un terzo: scattò irremovibile la squalifica! Il primo anno (1991) tutto filò abbastanza liscio; già alcuni giorni prima del dì di festa io e il Prof. avevamo realizzato, nell’antistante prato della casa poderale, un campetto da calcio costruendo in legno pure le porte. Questa la giornata tipo: al mattino, presto, pesca sulla "Fossa", poi, in tarda mattinata la consueta partitella e, dopodiché, con l’arrivo anche di altri amici e delle ragazze... pranzo al sacco nel bel prato del campino. L’anno successivo (1992) stessa prassi! Nel pomeriggio, però, sopraggiunse un “uragano”: il solito Tripoli, animato anche da qualche “birretta” di troppo, prima si divertì, con un palo di legno trovato nella carraia, a demolire un piccolo "casottino" adiacente alla casa, poi, con la strombola, “spalleggiato” anche dal Butra, spaccò diversi vetri delle finestre. Se lo ricorderà bene anche l’italo-spagnolo Pacione che rischiò una vera evirazione: mentre stava mangiando seduto sull'erba, si vide esplodere tra le gambe un lattina di birra impallinata - non so con quanta forza e da quale distanza - da un “tondello di ferro” scagliato dalla strombola del Butra. Non contenti, inoltre, i due giovani iniziarono con i motori ad andare in su e in giù per un campo, dove il grano era già a mezza altezza: aratura più perfetta non avrebbero potuto fare! C’è da dire, però, che anche altri ragazzi si unirono ai due compagni con i propri motori e motorini fino a quando il proprietario venne a farci visita... potete immaginarvi la sua ira funesta.

Sempre per queste festività, una volta (correva l’anno 1989), si pensò bene di spostarsi in collina, presso il Castello di Segalari, ancora in stato di abbandono. Si partì attrezzati: chi prima... chi dopo... con pranzo al sacco cercando di trasportare gli “appiedati” sui motorini e, naturalmente, sperando di non imbatterci nei Carabinieri. Immancabilmente, però, la coppia formata dal Caco, alla guida, e Pero, in sella, arrivata sulla discesa che porta ad affrontare l’ultimo tratto di salita prima di giungere al castello, intravide i Carabinieri: il Pero, senza pensarci due volte, saltò giù di sella cercando di non essere visto ma se da una parte riuscì a evitare una brutta caduta, dall’altra, purtroppo, non evitò di farsi notare dai Carabinieri che non ci pensarono due volte a fare “una lavata di capo” ai due giovani ma graziandoli dal verbale. La splendida giornata, poi, proseguì nei migliori dei modi all’interno del castello dove c’erano ampi spazi verdi per riposare al sole e starsene in tranquillità. Tranquillità?! Parola grossa... c’era sempre da star attenti al solito Tripoli che poteva spuntarti da qualsiasi parte: la giornata la passò in compagnia di altri vivaci amici sia all’interno del pericolante castello, sia a “passeggiare” avanti e indietro sui cornicioni esterni del palazzo. La “perla” finale fu quando, con una corda, pensò bene di legare per i piedi Cinqu’orsi; poi, dopo aver fatto passare la stessa corda su un resistente ramo di un albero, incominciò a recuperare la fune mandando il ragazzo a capo all’ingiù: ci volle del tempo a convincerlo di lasciarlo andare!

Ma quando, in queste festività, spuntavano i giorni con il caldo sopra la media stagionale, allora, con decisione unanime, si partiva per il mare. Macario, una volta, mise a disposizione la propria casa di villeggiatura che si trovava nel centro di Marina; giunti in folto numero, fin dalle prime ore del mattino, ci fu subito un diverbio animato con il vicinato, poi, nel pomeriggio, appena mangiato, Tripoli non sentì storie: mentre stava “nazzicando” con una corda entrò nella camera da letto dove si trovava la Greggrè e, senza pensarci due volte, la legò come un “salsicciotto”; la ragazza, sul momento, stette allo scherzo, poi, quando si vide persa per il fatto che qualche giovanotto stava approfittando della situazione con palpeggiamenti sempre più audaci, si lasciò andare prima in urla e poi in un pianto dirompente. Un’altra volta, sempre a Marina (correva l’anno 1992), stufi di stare sul mare, due gruppetti, capeggiati dallo stesso Tripoli e dal Butra, iniziarono a gareggiare su dei “risciò” presi a noleggio; ad una curva, però, ci fu un ribaltamento; morale della favola: ripagare i danni! Per concludere, in una di queste festività con destinazione mare, fu deciso di andare al “Cantiere”. Mentre i più tranquilloni se ne stavano in spiaggia, Tripoli, Pero e altri giovani infilarono nel vecchio cantiere navale abbandonato e già distrutto... ma, ugualmente, trovarono ancora qualcosa da sfasciare: i rumori e le botte causate dalle sassate si sentivano rimbombare fin sul mare! In epoca più recente, e a più riprese, fu la volta della terra di Mapo, nei pressi del “Gozzo di Rapè” (correvano gli anni dal 1995 al 2000), dove fu abbandonato il pranzo al sacco sostituendolo con quello di lusso: una bella grigliata... con il fuoco controllato a vista dall’esperto Spank. Non mancavano mai i "baccelli", portati da qualcuno o “racimolati” in qualche campo la sera prima. Quelli avanzati, naturalmente, finivano per essere lanciati tra di noi; per quanto riguardava il bere, invece, poca birra ma assai vino. Da lì a poco, durante la sera, sarebbe iniziata anche qualche “scorribanda” alla ricerca di ciliegie: le più ambite, sicuramente, quelle di “Casavecchia”. Un post cena (correva l’anno 2000), io e Algido, in sella al mio scooter, decidemmo di andare proprio in quella località avventurandoci, al ritorno, sull’ardua salita che da “Casavecchia” porta fino in “Segalari”; ma, un po’ per la strada sconnessa, un po’ per le non perfette condizioni psicofisiche, finimmo per ben due volte in fossa. Tra una risata e l’altra, tuttavia, riuscimmo, in qualche maniera, a tornare a Castagneto. A partire dai mesi successivi, poi, sarebbe iniziata la “caccia” a cocomeri e poponi, quest’ultimi “racimolati” nel piano castagnetano; purtroppo, una sera, per colpa del buio, furono colti ancora acerbi e fummo costretti” a gettarli tutti per le costie delle “Casenòve”.

Maggio era anche il mese delle finali delle Coppe Europee e delle partite decisive per l’assegnazione dei campionati. Finalmente, dopo anni di anonimato da parte di noi juventini, ci fu una super rivincita disputando 4 finali, in sette anni, di Coppe dei Campioni anche se tra gioie e dolori. La prima finale (correva l'anno 1996), ma anche l'unica vinta, venne giocata a Roma contro i forti olandesi dell'Ajax. In quel periodo, essendo militare a Chiavari, non riuscii, con molto dispiacere, a vederla insieme agli amici castagnetani; tuttavia, con un "permesso speciale" avuto da un "furiere" juventino, partimmo in macchina dalla Caserma fino alla stadio di Viareggio proprio per assistere all'incontro su un maxischermo. C’è da ricordare, per coloro che hanno memoria corta, che il Bar “Blach&White” è stato, in passato, un vero covo degli juventini. Si gioca, quindi, la finale Juve-Borussian Dortmund (correva l’anno 1997) e già dal pomeriggio era salita la “tensione” grazie a qualche “birretta” di troppo con il folcloristico F.d., che, con un tamburo e con faccia dipinta di bianconero, seguito da altri tifosi, andava avanti e in dietro per il “Borgo” con cori da stadio rivolti al rivale di sempre: il macellaio-milanista Ope. Poi, purtroppo, la serata prese una brutta “piega”, però, allo stesso tempo, con tante risate. Un’altra partita, invece, riguarda la finale con il Milan (correva l’anno 2003); per scaramanzia si cambia sede: il luogo prescelto, questa volta, fu la terra di Pina (il famoso "ranch"), in zona “Zi’ Martino”, con la presenza di tanti castagnetani juventini: i cugini Grillandini, Mariolino Bottai, Tibetto, Bido, la triade Granatiero, Tripoli, Leo, Mancino, Spank, Belax, Pero e tanti altri ancora. “Matador” della serata fu ancora l’immancabile F.d. che si presentò con uno scatolone di birre direttamente dalla pizzeria “Little Italy” di Baratti, all’epoca di sua proprietà. Si preparò cena, curata nei minimi dettagli e con grande collaborazione da parte di tutti, apparecchiando sotto il bel pergolato; ma anche qui la partita fu un vero patimento soprattutto durante quei “maledetti” tempi supplementari. Quella sera, tuttavia, una “coppa” la vinse sicuramente l’italo-tai, F.d., che, avuto sentore negativo di come sarebbe andata a finire la partita, prima dei tempi supplementari, si mise, “tutto in tiro”, in sella alla sua moto con destinazione Livorno: bella mossa F.d.! Era l’anno che, per stare in forma, andava a lavoro tutti i santi giorni in mountain bike da Castagneto a Baratti. Da ricordare, infine, la finale Intercontinentale contro il Boca Juniors: si giocò a dicembre per un martedì mattina (correva l’anno 1996). Naturalmente noi ragazzi (gli juventini...) si fece festa a scuola e qualcuno saltò pure il lavoro. Il bar, con deroga forzata, venne aperto nonostante fosse martedì, giorno di riposo, ma solo per gli juventini... anche se poi il “buon cuore” di Bido fece entrare anche qualche antijuventino che, sul momento, sostenne di tifare bianconero. Al goal di Del Piero, decisiva la sua rete, ci fu l’esplosione di gioia...

Per quanto riguarda gli scontri scudetto, invece, da ricordare la partita Juventus-Inter (correva l’anno1998), decisa ancora da un goal del solito capitan Pinturicchio, restata alla storia per il famoso rigore negato a Ronaldo per “presunto” fallo commesso da Iuliano. Restai seduto nella mia postazione fissa e scaramantica per gran parte della partita, fino a quando o per il gran caldo, o per la troppa tensione, ebbi un “mancamento” e me ne andai di corsa in casa di mia nonna, situata proprio sopra il bar. Mi sdraiai sul letto evitando radio e televisione fino a quando l’assordante musica dei Queen, con la canzone We are the champions, che proveniva dal bar, mi fece sobbalzare capendo che la partita contro i rivali di sempre era terminata e vinta. E poi, come non dimenticare il favoloso 5 maggio (correva l’anno 2002) con le partite in contemporanea: Udinese-Juventus e Lazio-Inter. Nella sala grande del bar i numerosi e accaniti juventini mentre in quella più piccola gli “ospiti” interisti. Nel primo tempo la Juve liquidò subito la pratica Udinese, con goal di capitan Del Piero e di Trezeguet, così mi misi a “gufare” sulla porta che divideva le due stanze: da una parte controllavo il risultavo della Juve mentre dall’altra quello dell’Inter che avrebbe dovuto pareggiare o perdere per permettere alla “Vecchia Signora” di aggiudicarsi lo scudetto. La “favola” Lazio ci fece un grande regalo battendo i nerazzurri 4 a 2. Al fischio finale di Roma ci fu la chiassosa esultanza contro i perdenti interisti, il tutto animato dalla solita canzone a “tutta manetta”: We are the champions! Vi potrei citare altrettanti episodi ma questi sono quelli veri, quelli che hanno fatto la storia non solo da un punto di vista sportivo ma anche sotto l’aspetto di aggregazione sociale dove, in qualche maniera, la presenza di molte persone ti permetteva di stare insieme e di passare un po’ di tempo all’insegna della tranquillità, dello svago e del divertimento: scambio di opinioni, diverbi, ironia, sfottò!

Non mancarono, però, anche le “insidiose” trasferte allo stadio “Delle Alpi” di Torino per alcune decisive partite come quella avvenuta contro il Parma (correva l’anno 1997), pareggiata 1-1, che non bastò, per la matematica, a festeggiare in quella giornata lo scudetto; trasferta avvenuta in pullman e dall’atmosfera gelida nonostante F.d. e il Della fossero già in tenuta da bermuda. Ma ancor più memorabile fu quella avvenuta due anni prima, per la sfida decisiva, sempre contro il Parma (correva l’anno 1995), vinta per 4-1, con trasferta in macchina di Pina, insieme al Prof., Pero ed altri; quel giorno, dopo ben nove anni di digiuno di scudetti, fu assegnato alla “Vecchia Signora” quello ventitreesimo: al fischio finale ci fu l’invasione di campo ruzzolando come un matto sul terreno di gioco; porte divelte, panchine smontate e pellicce d’erba prese dai tifosi come cimelio per ricordare quell’atteso evento: io c’ero!

Due "bravi" bambini (colpevoli di aver mangiato le ostie al preste) in processione per le Triennali del 1988

Anni Novanta - "Ginetto" e alcuni ragazzetti al Bar "Black&White"

Maggio 2003 - In sacrestia: la serata dell'apertura dell'ossario

Primavera 1991 - "La Badia" presso il "Podere Sant'Antonio"

1989 - Scampagnata presso il "Castello di Seagalari"

1997 - Alla terra di "Mapo" nei pressi del "Gozzo di Rapè"

Marzo 1998 - Al Bar "Black&White" in ora di chiusura serale

2003 - Al "Ranch" di Pina per la finale

1997 - Al Bar "Black&White" per la finale

1997 - Stadio "Delle Alpi"

8 Aprile 1996 - Alla terra di "Mapo": Pasquetta - Regia di Titti

Marzo 2017 - Al "Drago Bria'o" sul calar del sole dopo una "ribòtta" al "Castagnone"