L'inverno

I mesi invernali erano lunghi da “scollinare”! Adempiendo al proprio dovere di studentello (io... classe ’75), mi ritrovai, su due... dei tre anni (1986/87; 1987/88; 1988/89) delle scuole Medie, in un’aula “capitana” dal ri(ri)petente Chino (classe ’74) che, già da allora, si stava mettendo in mostra non tanto perla voglia di studiare ma per la sua grande fama di donnaiolo.

La sua “preda” più ambita? Castagnetana e donoraticense... sicuramente! Nel suo “palmarès”, però, si riscontra anche qualche ragazza bolgherese mentre si perde il conto delle fiorentine e delle straniere: da Castagneto a Firenze, da Firenze a Castagneto, ad ogni ora, con ogni mezzo... ma questa è quasi storia recente! Erano, tuttavia, le feste dove Chino dava il meglio di sé, soprattutto quelle organizzate in casa degli amici e per pochi intimi, facendosi prestare per “ore” la cameretta dall’amico di turno; dopodiché sarebbe sfrecciato, in sella alla sua "Red Rose", chissà da quale altra fanciulla.

Lui, comunque, sapeva pensare anche agli amici riuscendo, delle volte, a fargli fare qualche “inciucio”: non c’era, però, da scegliere... bisognava solo accettare! La fama di Chino, tra le ragazzine, divenne talmente grande che persino sui muri del paese apparvero alcune scritte anonime di molte sue fan: “CHINO SEI BONO!" - "CHINO T.V.B.!” Immaginatevi quello che si poteva trovare sbirciando nei loro diari: alcune, infatti, riproducevano queste scritte sulle pagine incollandoci poi dei ritagli di giornale raffiguranti Eros Ramazzotti e Luis Miguel Gallego, cantanti a quel tempo molto in auge. Purtroppo, però, la grande fama di donnaiolo del ragazzo e la sua audacia gli costarono “sonore rimbalzate” da parte di alcune mamme premurose che lo aspettavano al varco davanti al cancello delle scuole.

Una “coreografia” fantastica fu realizzata da Chino sul Piazzale “Belvedere” (correva l’anno 1989). La classe III° B venne chiamata a realizzare un murales (oggi purtroppo smantellato con la nuova ristrutturazione del 2023), quando, sbadatamente, a pochi giorni dell’inaugurazione, sul nuovo lastricato bianco in pietra, Chino versò un intero secchio di vernice nera; a quel punto, rimasto senza parole e, come al solito, “a bocca aperta”, per rimediare la “frittata” non ci pensò due volte: attaccata la sistola alla fonte, incominciò a spruzzare acqua su tutto il piazzale e, in pochi minuti, il danno fu ampliato. Ci volle “del buono e del cattivo tempo” per togliere quella “macchia nera”. Lascio a voi immaginare le reazioni di professori e addetti ai lavori...

Questo simpatico siparietto, però, mi ricorda quello più recente (correva l’anno 2002) che vide come protagonisti il giovane proprietario del bar “Black&White”, Mapo, insieme all’aiutante Piddu, baristi alle prime armi. In una nottata estiva, mentre ripulivano la macchina delle granite, versarono nel “Borgo” dei coloranti. Anche qui simile procedura: un paio di secchi d’acqua sulle lastre tanto per amplificare il danno. Poco dopo, infatti, incominciarono a transitare alcune automobili: le ruote cosparsero il colorante fino in “Sambastiano”; fu uno spettacolo, la mattina, vedere le lastre per tutto il "Borgo" colorate a strisce!

Altri “bravi” studentelli, tuttavia, si stavano mettendo in mostra per fatti e fattarelli più o meno “goliardici”, anche se qualcuno di loro si era già ben distinto a partire dal periodo delle Elementari: durante l’ora di ricreazione, fatta all’aperto (correva l’anno 1985/86), furono lanciate “maricoccole” e pietre, sempre più grosse, dentro la finestra di un bagno antistante i giardinetti (lato via dei "Molini"); non elenco i danni ma le polemiche che seguirono furono infinite poiché i piccoli vandali cercano di incolpare alcuni scolaretti più grandi... purtroppo furono riconosciuti e condannati a risarcire il tutto. Tra questi reo-colpevoli non poteva mancare Tripoli che, da qui in avanti, diventerà il “terrore” di maestri, amici e conoscenti. A proposito di maestri: durante una lezione (correva l’anno 1985/86 in I° Elementare), l’insegnante (che era sassetana) mostrò agli alunni un’asticella:

- A cosa serve questa? - chiese la maestra.

- A cacciattela ’n culo! - rispose subito Tripoli.

L’insegnante, allora, arrabbiata e dispiaciuta per quella inaudita risposta, si mise anche a piangere; a quel punto Tripoli cercò di rimediare:

- Mi scusi signora maestra ma io ’un le ho detto “in culo” ma solamente “al culo”!

Un piccolo “Attila” castagnetano... non solo nei fatti ma anche a parole; dove passava lui... nulla “rimaneva”, o meglio, qualcosa sì: le briciole dei suoi danni! Ed i suoi luoghi più naturali? I boschi da “smacchiare”! Ma non gli servì da lezione neppure il grande “volo” (correva l’anno 1989) che fece da un capannino, costruito su una pianta a 4 metri di altezza, in località “Bagnoli”, causandosi la frattura di un braccio. Non temeva nulla lui... né piccini, né grandi e, in maniera spavalda, affrontava chiunque. Un volta, durante la visione di una partita, per i Mondiali di Italia ’90, “rintanati” nei miei "scantinati" situati sotto casa di Via "Carducci", come da copione, Tripoli fece male a Davidana (classe ’78), più piccolo di lui, che, scoppiato in lacrime, andò a chiamare lo zio Gianni P., il quale, abitando nelle vicinanze, entrò infuriato e “traballante” nella stanza:

- Chi è Tripoli? - chiese Gianni P. rivolgendosi ai ragazzi.

Io! - rispose in maniera decisa Tripoli (andandogli sul “muso”).

- Hai fatto piange ’r mi’ nipote, però, io... quelli con gli occhiali ’un li picchio! - replicò Gianni P. (accorgendosi che Tripoli portava gli occhiali). A quel punto lo stesso Tripoli si tolse le lenti e, in maniera di sfida, gli replicò:

- O vieni... o picchiami ora?! (battendosi una mano in faccia per incoraggiare l’uomo a colpirlo).

Fortunatamente prevalse il buon senso grazie all’intervento dei ragazzi presenti e la serata proseguì nella tranquillità.

La mia "cantinetta" è sempre stata un punto di ritrovo sia per vedere le partite, cena inclusa, sia per fare qualche partita al “subbuteo”, andato in voga per alcuni anni. Ma era, soprattutto, il covo di noi Juventini, all’epoca (correvano gli anni dal 1989 al 1995) tifosi di una squadra modesta e spesso perdente, ma non mancava mai il pretesto per stare insieme, soprattutto il mercoledì sera, giorno di Coppa Uefa (quella dei Campioni era ancora un sogno!). E se la partita si metteva male c’era la scusa di sfogare la propria rabbia lanciando qualche bottiglia in Via "Carducci" (zona “Glorione”), se, specialmente, il via era dato dal Prof. (classe ’74) o dallo stesso Tripoli che non aspettava altro...

Non mancavano, però, altre occasioni per prendere di mira il vicinato che, a più riprese, doveva subire le “sublimi pisciatine”:

La più gettonata?

Quella sul motorino di Santino: un “SI”-Piaggio, color rosso. Ma fu la sua sventurata nonna, in una fredda sera d’inverno, ad essere “preda” di uno scherzo ad opera, questa volta, di Macario (classe ’74), naturalmente spalleggiato dal solito Tripoli. Notata la porta a vetri delle vecchina semi socchiusa, con questa rivolta di spalle e seduta su una poltrona, Macario, indossando una maschera “diavolina” e un mongomeri fornito di cappuccio, pensò bene di entrargli silenziosamente in casa e di bussarle dietro la schiena. La vecchina, vista l’abominevole figura, rimase impietrita... senza pronunciar parola! Uno "Scherzo del Diavolo"... da crepacuore! Questa maschera, tuttavia, fu oggetto di altri “tiri mancini”: Tripoli era solito posizionarsi tra i merli delle mura... quelli sopra le scalette, situate davanti alla “Fonte di Marmo”, pronunciando strani versi. Fu, per un lungo periodo, il terrore di molti bambini ma pure di qualche grande, usando, come se non bastasse, anche il puntatore laser... novità per quei tempi.

Una sera, in Via "Cavour", gli sembrò di riconoscere da lontano un amico: facendo zig zag tra le macchine parcheggiate e con il puntatore laser in azione, il giovane “vandalo” incominciò a emettere dei versi inauditi ma, una volta giunto davanti a quella persona, si rese conto che non si trattava dell’amico tanto desiderato, bensì di una donna delle “Casenòve”; ma ormai la “frittata” era fatta! Tuttavia, questa, riconosciutolo, gli esclamò:

- O bimbo, o cosa ti piglia le crisi...?!

Tripoli, però, si era anche accorto che alcuni cani venivano attratti dalla lucina rossa del puntatore, specialmente il suo preferito: “Foresto”. La sera, infatti, si piazzava davanti al Bar “Black&White” in attesa del passaggio di cane e padrona (la Mutolina). Sia al momento della discesa del “Borgo”, sia a quello della risalita, puntava il pallino rosso davanti al muso dell’animale che, “eccitandosi”, iniziava a “trascinare” con forza la donna con il rischio, immancabilmente, di farla inciampare nelle lastre.

Un’altra sera, invece, in compagnia di altri amici, lo stesso Tripoli si trovava in una stanza con finestra che, tutt’oggi, dà sul piazzale dove c’era la ex “Sala di Musica”. Sfortunatamente, giunse con la sua vettura la Carruba (poi Carrubs, soprannome più “vips” affibbiatole quando incominciò a “solcare” i palcoscenici cecinesi), da sempre di indole paurosa. Una volta scesa dalla macchina, Tripoli si lasciò andare in “versi” maniacali che fecero gridare e scappare la ragazza su per la salita di Via dei "Molini", chiedendo, addirittura, aiuto a dei passanti.

Anche i bambini, però, sono sempre stati delle perfette prede. Gli era presa la fissa, ogni volta che vedeva il piccolo Francis, di inculcargli nel capo che al “Campo Sportivo” era arrivato il circo e, come se non bastasse, glielo rammentava alzando la voce tutte le volte che transitava sotto la finestra di casa sua, posiziona in basso, di fronte all’ex negozio del "Nannini":

- Cecco..., Cecco... c’è ’r circo ar “Campo Sportivo”...! E c’è ’r circo...! - esclamava Tripoli sempre più forte. Il piccolo, sentendolo, iniziava a smaniare per uscire facendo immancabilmente arrabbiare la madre. Ma un bel girono, la mamma del fanciullo, stanca di sentire la solita tiritera, aspettò al varco il giovane incominciandolo a infamare dalla finestra (con tutta la sua verve possibile):

- Tarpone, tarpone... sei un tarpone... vai via..!

Come se non bastasse, durante una scampagnata alle "Cascate di Saturnia" (correva l’anno 1999), da una “pozza” all’altra, Tripoli, nelle vesti di coccodrillo, era lesto a far cianchetta a qualsiasi bambino che gli passasse a due metri di distanza.

C’è da dire, paradossalmente, che gli unici “antidoti” che hanno sempre fatto effetto sul ragazzo sono state le donne: quando si innamorava spariva dalla circolazione e diventava mite come un agnellino ma appena tornava single si lanciava nuovamente sui suoi “campi d’azione” preferiti e c’era da temere... come sempre! Le feste in casa, tuttavia, e quelle all’aperto, comprese le scampagnate sui fossi e lungo i fiumi, sono sempre state le sue preferite: qui poteva agire e sfogarsi a 360° a “dispetto” del premuroso babbo sempre pronto, giustamente, a far prediche a destra e a manca:

- State attenti ar mi’ bimbo che ’un faccia i malestri?! - si raccomandava il povero Lubiano verso i ragazzi più grandicelli.

Ritornando al periodo delle Scuole Medie, in I° B (correva l’anno 1987/88), si era ben amalgamata la coppia maschile (classe ’76) con uno "slogan" lanciato da una compagna di classe che recitava queste parole cadenzate:

- Pèlopelanzi... Tlipolimèlda...!

Si può capire subito, anche se dai soprannomi storpiati, chi siano questi due personaggi ai quali si univa il compagno Crostatina (detto poi Tina): un biondino dalla faccina d’angelo, educato e ben voluto dai ragazzi più grandicelli perché permetteva, almeno così si mormora, di far spiare dal buco della serratura la propria sorella mentre era sotto la doccia, tutto questo in cambio disonora moneta battente da spendere, poi, in qualche vizietto. Con loro non poteva mancare all’appello il bonaccione Puti che, appunto, proprio per la sua “bontà”, durante una gita presso il "Museo Archeologico" di Rosignano Marittimo (correva l’anno 1988) si lasciò “abbindolare” da alcuni compagni. Degli studenti, infatti, alla vista di uno scheletro preistorico, pensando di fare una “bravata”, sottrassero alcuni “ossicini”. Immediatamente, però, gli addetti del museo furono costretti ad avvertire la scuola costringendo i professori a mettere sotto “torchio” gli ipotetici artefici del furto; tra questi Puti cercò di giustificarsi: 

- O professori... ma io ’un l’ho presi l’ossicini... me l’hanno messi solo in tasca!

In effetti, conoscendo il bonaccione di Puti, credo ancora, dopo tutti questi anni, nella sua giustificazione ma resta il fatto che la “bravata” costò a Puti e compagni qualche giorno di sospensione. Ma a lui, purtroppo, proprio per la sua “testa” sempre tra le nuvole, non si può perdonare il fatto di essere stato il responsabile della triste fine di “Lolita” e “Matthaeus”, due pappagallini tanto adorati. Da buon tifoso interista, infatti, aveva deciso di chiamarli proprio come la famosa coppia formata dall’allora giocatore nerazzurro Lotar Matthaeus e dalla bella compagna Lolita. La triste “saga” di questi pappagallini (correva l’anno 1995), la quale mi ricorda quella assai più recente del cane “Pennello” (che fortunatamente ebbe miglior sorte), narra che, durante il periodo di trasferimento dalla casa situata nei pressi di Sassetta (loc. “La Bandita”), dove all’epoca Puti viveva, a quella di Castagneto, i due sventurati pennuti furono dimenticati, per alcuni giorni, nella gabbietta senza cibo: per loro, purtroppo, non ci fu sorta di scampo!

Puti, con il tempo, arrivò a stringere una forte amicizia con il sottoscritto, condivisa anche dalla passione del “bicchiere”: era prassi, prima di ogni cena, andare a comprare una bottiglia di vino bianco, naturalmente di quello frizzantino, da “du’ lire”, quando ancora il "D.O.C. Bolgheri Vermentino" era sconosciuto ai nostri “palati sopraffini”. Questo “rituale” si era così diffuso a tal punto che, a qualsiasi cena, c’era sempre qualche "generoso" che si preoccupava di far trovare a Puti e Suino una bottiglia, o più di una bottiglia, di vino bianco.

Lo stretto legame sorto tra noi due ci spinse a fare delle “scorribande” all’estero insieme anche a Pacione, altro amicone (classe ’75), incubo peggiore di Puti in quanto era prassi prenderlo di mira con scherzi, delle volte pesanti e assillanti, come quello avvenuto in treno alla volta della Repubblica Ceca, con destinazione Kromeriz, per festeggiare il "Capodanno" (1993/94). Per noi, appena maggiorenni, era il primo viaggio all'estero in solitaria, ossia senza la presenza dei genitori; viaggio organizzato per andare a trovare alcune ragazze Ceche conosciute a Castagneto facenti parte di un corpo di ballo; ragazze che avevano partecipato a varie serate della "Settimana Castagnetana" (correvano gli anni 1993-1996); le serate erano intitolate: "Castagneto sotto le stelle" e "Castagneto in... Tutto moda!", dove sfilarono numerosissimi ragazzi e ragazze del paese e non solo... con un Paolone, in tutta la sua splendida forma, a incitare ballerine e "modelle".

Puti è sempre stato un gran dormiglione e, in qualunque posto e ora del giorno, riusciva a prendere sonno. Durante la nottata in treno, Pacione, invece insonne, incominciò a “tormentarlo”; uscito dallo scompartimento, chiuse la porta senza fare il minimo rumore e, dopodiché, iniziò a bussare contro quella stessa, spacciandosi per un poliziotto:

- Pass...port! Pass...port! Pass...port! - urlò Pacione.

Puti sentite quelle grida si svegliò di sobbalzo e, tutto intimorito, mentre stava per mostrare il passaporto, si accorse della presenza dell’amico; a quel punto, infamandolo, si rimise a dormire. Questo siparietto si protrasse per altre due o tre volte, con intervalli di circa 10-15 minuti, fino a quando un vero poliziotto, bussando alla porta, ordinò di mostrare i documenti; Puti, questa volta, pensando che fosse ancora l’amico, scagliando con rabbia il passaporto a terra, esclamò:

- Ora m’hai rotto proprio i 'oglioni!

Fortuna che quel poliziotto non conoscesse l’italiano altrimenti... non voglio immaginare...

Puti, però, è stato un vero compagno di “merende” e, spesso, ci siamo smarriti sulla “diritta via” con il rischio di fare qualche figuretta come quando, durante i festeggiamenti di San Silvestro (2000/01) nella città di Sofia (Bulgaria), all’interno di una discoteca non riuscivamo, per le nostre precarie condizioni “psicofisiche attitudinali”, a trovare un bagno. Così, arrivati al limite fisiologico consentito, fummo costretti a fare la bramata “pisciatina” imboscati in un angolo del locale, riparati da un tendone: ancora oggi mi domando se ci avessero colti sul fatto... ma eravamo talmente esperti e veloci grazie ai "prolungati allenamenti” fatti nelle tarde ore invernali, o estive, nel “Chiasso” o sul “Piazzale” (solitamente dal balcone) ma sempre con il rischio di essere "beccati" dai numerosi occhi curiosi che vigilavano perennemente sotto le persiane delle vie del paese...

La serata in discoteca, tuttavia, proseguì “liscia” e giungemmo nelle prime ore del mattino in un locale, accompagnati da alcune ragazze, ma, sul più bello, ci addormentammo sulle sedie: non riuscimmo proprio ad assorbire il colpo! Chapeux... caro Puti, quella volta, bisogna ammetterlo, la sconfitta fu “risonante”! La serata, però, era iniziata bene ma non potevamo prevedere a cosa saremmo andati incontro: dopo una “sana” cena, alle 22.00, eravamo già nella piazza principale della città di Sofia, dove la gente stava assistendo allo spettacolo. Noi infreddoliti con circa -10° mentre la folla allegra e già “bella alticcia”: ci domandavamo come facessero ad essere così tutti quanti “in forma”. Solo dopo incominciammo a capire lo stratagemma: ognuno possedeva una bottiglia di vodka “imboscata” che scambiava con la persona più vicina sorseggiandone un po’. Così ci affrettammo a comprare, presso un rivenditore ambulante un paio di bottiglie senza etichetta e, dopo due o tre sorsi, il freddo era passato: Vodka...? Boh... forse... ma l’importante che il freddo fosse passato! Con lo scoccare della mezzanotte e l’inizio delle danze incominciò, sempre più frequente, anche lo scambio di bevute e qui la “diritta via” divenne sempre più “tòrta”: il terzo cerchio dell’Inferno di Dante, ossia quello dei “golosi”, da lì a poco ci avrebbe accolto a braccia aperte. Dopodiché, tra un tripudio di persone e tra la folla che fuggiva in qua e là, dato che l’alcool aveva fatto scattare le prime risse, con sommosse della polizia e conseguente lancio di lacrimogeni, riuscimmo ad infilarci in una discoteca... ma questa è storia di prima.

Proprio sulla “trasferta” di Sofia, in qualche occasione di ritrovo, è “scappato fuori” il simpatico e leggendario episodio che uscì inizialmente per “bocca” di Puti e poi raccontato da me stesso su pressione degli amici più intimi; ancora oggi, però, solo io e Puti custodiamo gelosamente la verità: finzione o realtà? Dato che ognuno di voi conosce bene i due personaggi, ciò gli permetterà di farsi una sua precisa idea (ossia di credere o non credere) sul fatto che adesso andrò a raccontarvi: avevamo “abbordato” due ragazze, quando, dopo tanti sforzi, riuscimmo a convincerle di venire nel nostro appartamento preso in affitto nel centro città di Sofia. Già assai “brilli”, grazie alla vodka ed al vino portato direttamente dall’Italia, e arrivati sul punto di “combinar qualcosa”, si presentò il dilemma che i due letti dove dormivamo erano nella stessa stanza; a quel punto, in fretta e furia, si tentò di creare delle “barricate divisorie” con mezzi di “fortuna”: un armadio, una tavolino e delle sedie. Ma eccoci al momento clou! Il sottoscritto, per bisogni fisiologici, dovette andare in bagno, quando al ritorno, obbligato a passare vicino al letto di Puti, la combinai “inconsapevolmente” grossa: muovendomi a piccoli passi nella penombra fui attratto dal “bel culetto” della giovane appaltata sul letto con Puti, e, senza pensarci due volte, allungai la mano verso quel “paradiso”; ma, all’istante, echeggiò nella stanza un grido seguito da alcune parole indirizzate da quella stessa ragazza verso la compagna. In fretta e furia, rivestitesi... le due amiche uscirono dall’appartamento senza pronunciar parola, ma ci pensò Puti a rivolgermela:

- Sei sempre il solito stupito!

Non ricordo neppure quale fu il vero motivo che ci spinse ad andare a festeggiare il "Capodanno" proprio a Sofia. Una sera, al rientro nel nostro appartamento fummo fermati per strada da due poliziotti che ci intimarono di consegnarli i passaporti e di seguirli nella vicina caserma per un normale controllo; il tempo di dirgli che eravamo italiani che già ci avevano reso i documenti augurandoci una buona serata!

Ma il “debutto” nella città di Sofia non fu proprio dei migliori: appena arrivati e sistemati nell’appartamento, a serata inoltrata, decidemmo di farci subito un giro. Passeggiando per strada ci fu suggerito da alcuni ragazzi un locale che, sul subito, risultò accogliente, ben curato, soft e, soprattutto... cosa fondamentale, pieno di ragazze. Ci sedemmo tranquillamente ad un tavolo per bere qualcosa e scrutare la situazione che sembrò, inizialmente, promettere bene. Ad un certo momento, però, notai qualcosa di anomalo tra alcune coppie che si stavano baciando: infatti “ciuccionavano” sì... ma tra identici sessi! Mi venne immediatamente il dubbio di essere finito in un locale gay-lesbo e, cinque minuti dopo, ne ebbi la conferma. Mentre stavo discutendo con Puti di questa situazione, si avvicinarono al nostro tavolo due ragazzi, all’apparenza tranquilla, che iniziarono con me una breve conversazione in inglese, fino a quando ci venne spudoratamente chiesto:

- Volete venire a casa nostra?

A quel punto, dopo quella esplicita e diretta richiesta, dissi velocemente a Puti (tirando anche una serie di "paternali"):

- Mòviti a finì cotesta birra e leviamoci subito da’ 'oglioni!

Puti obbedì senza proferir parola e, in un batter baleno, uscimmo da quel locale.

Durante un’altra “scorribanda” effettuata ancora nella Repubblica Ceca, e sempre a Kromeriz, insieme al coetaneo Prost, fu io a prendermi gioco di lui. Lo stesso Prost, nel corso della vacanza, aveva alzato un po’ il gomito. La sera di San Silvestro (1998/99), quando uscii dalla discoteca per festeggiare con il classico brindisi, me lo vidi spuntare in piedi in cima ad una fontana... da rovinarsi... se fosse finito di sotto vista l’altezza! La data del rientro in Italia, purtroppo, era arrivata ma Prost, da giorni, si stava “trascinando” dietro una bella “cacaia”. Una volta saliti sul treno, lui si piazzò immediatamente davanti al bagno in attesa del consueto “attacco di mal di pancia”. Ad un certo momento, però, con il treno pieno zeppo di persone, Prost si “imbucò” nel bagno e io, una volta concessogli alcuni minuti necessari affinché avesse potuto posizionarsi ben bene sul “vasone”, incominciai a bussare con una certa insistenza contro la porta del W.C., urlando:

- Pass...port! Pass...port! Pass...port!.

Prost, a quel punto, pensando che fosse la polizia ferroviaria per il consueto controllo dei documenti, con la sua vocina a “gallerone”, esclamò in inglese:

- One moment... please?!

Dopodiché, vidi aprire improvvisamente la porta ma, appena lui scorse la mia ombra, mentre la gente stipata nel corridoio rideva come non mai, mi lanciò un’occhiataccia mandandomi letteralmente a quel paese. Arrivammo a Pisa senza una lira e, non avendo neppure i soldi per fare il biglietto alla volta di Cecina, fummo costretti a telefonare a casa per farci venire a prendere tra le ira dei genitori!

C’è da dire che Prost è stato un mio compagno di classe dalla I° Elementare fino in III° Media ma, in questo lungo periodo della sua gioventù, è sempre risultato lento e sbadato in tutto e per tutto: riusciva persino a dimenticarsi la cartella sul pullman o, addirittura, a scordarsi di rimontare sullo stesso mezzo, parcheggiato sotto i suoi occhi davanti all’uscita della scuola... era fatto così! Una volta, ad un ricevimento delle Scuole Medie, dopo che gli insegnanti ebbero a lamentarsi per la lentezza del ragazzo nello svolgere i compiti in classe, il suo povero babbo provò a sdrammatizzare:

- Io ’un so proprio cosa facci! Se era un motorino gli potevo allentà ’r filo der freno! - rispose l’uomo ad uno dei professori.

Poi, con le Scuole Superiori e l'Università, improvvisamente e come per miracolo... il decollo, la sua metamorfosi: ironico, sapiente, spavaldo, suonatore di clarinetto, poliglotta e urlatore di parole incomprensibili ovunque si trovasse (le sue preferite):

- Inforchettaim..!

- Iocorbettar...ioar...!

Finita l’interminabile mattinata scolastica, c’erano da affrontare e da trascorrere i pomeriggi... ma dove?

Che domanda: tutti al “Pistino”!

Luogo sacro del “pallone moderno castagnetano” era sorto come pista adibita al pattinaggio (correvano gli anni dal 1984 al 1988) ma, fin da subito, utilizzato come campetto dove vigeva la “legge del più forte”: alcuni maschietti molto più grandi di me, riuscirono, pian piano, a far smettere di pattinare le assidue ragazze dando il via a grandi partite. Inizialmente, però, noi più piccoli eravamo soltanto degli spettatori perché solo i grandi avevano il diritto di giocare; ci si accontentava di guardare e di “raccattare” qualche pallone che usciva fuori dal rettangolo di gioco o aspirare, con il tempo, ad un posto tra “i pali”. La porta, in un primo momento, era costituita dai cancellini rossi (prima che venissero divelti), ma era assolutamente vietato parare con le mani; dopodiché fu centrale: delimitata dalla ringhiera e con i pali e traversa in legno appositamente costruiti da qualche ragazzo; al contrario della precedente, qui poteva destreggiarsi un vero portiere. Poi fu la volta delle piccole porticine di ferro, un tempo usate per i famosi tornei “dei Bar” in palestra, con le quali abbiamo maturato la nostre “doti calcistiche”. Al “Pistino” si giocava ininterrottamente, eccetto rari giorni quando veniva rilanciato qualche diversivo: le gare dei carretti... ma, svanita l’euforia del momento, il campetto si ripopolava. La partenza di questi mezzi avveniva proprio nella discesa sotto il “Pistino”: si partecipava con carretti di legno, quasi triangolari, più aerodinamici, mentre altri dalla forma rettangolare... meno governabili; le ruote, invece, rigorosamente costituite dai “cuscinetti” presi dal meccanico Cigliata. Ne ebbi uno anch’io... si fa per dire... costruito con l’aiuto dello “scienziato” Davidana, all’epoca futuro aspirante portiere del “Pistino”, sempre intento a "nafantare" e a smontare ogni cosa per la disperazione della mamma Michelina che lo chiamava a giornate intere... ogni tre minuti, dalla finestrina di casa di Via "Carducci":

- Davvidè...?!

E lui, immancabilmente, sempre pronto a replicare in maniera scocciata:

- Madonna ma...! So’ qui...

Ricordo, anche, di aver partecipato ad alcune gare di macchinine “a conometro” le quali dovevano essere spinte lungo un percorso. La pista, realizzata ad arte dai ragazzi più grandi, nella rena dei giardini delle Scuole Elementari, era piena di trabocchetti e insidie. L’ostacolo più difficile, però, rimaneva il salto di un fossato, dove, al suo interno, non ristagnava dell’acqua ma bensì della “pipì” (“riabboccata” a turno dai vari partecipanti): guai a caderci dentro! Si era in molti, grandicelli e meno grandicelli; ognuno partecipava con la sua macchinina preferita (in scala 1:24): da quella della Polizia al Pandino, fino ai veri modellini da Rally come la mitica Opel Kadett, la preferita dell’ingegner Scate.

Chiusa questa breve parentesi e tornando a parlare di calcio, si distinsero in quel rettangolo di gioco, prima di noi, alcuni talentuosi giovanotti, come la “faina” d’aria di rigore, Maruschino, tutto dribling; il sapiente TenTen; il centromediano metodista Simao che si evidenziava per la sua elegante corsa sulla fascia e per dettare i tempi di gioco; il jolly Gavino e, infine, il polivalente F.d., dai “garetti esplosivi”, che sapeva destreggiarsi sia in porta sia in difesa e perfino in attacco, nonostante già la sua buona mole. Ma era in auge la spietata “selecao castagnetana”: a causa del sovrannumero di ragazzetti intenzionati a giocare scattava inesorabile una selezione, non proprio naturale, da parte dei più grandi i quali stabilivano chi avesse potuto farne parte e chi, invece, avrebbe dovuto starsene lì... a guardare. Inizialmente, noi più piccoli, se esclusi dalla lista della “selecao”, ci mettevamo buoni, buoni a vedere la partita bramando, in cuor nostro, che questa non finisse troppo tardi per ritagliarci, a seguire, uno scampolo di partitella prima che il buio, o il “coprifòco” imposto dai nostri genitori, ci avesse fatto correre a casa. Voglio ricordare, tra i bomber di razza, anche l’amico juventino, Pina (classe ’73), infallibile cecchino sotto porta, che, purtroppo, mettendo in mostra le sue gambe “bianche”, specialmente quando indossava scaldamuscoli o pantaloncini neri, era spesso oggetto d’ironia altrui; e fu lui a dar vita anche alle prime sfide tra “Casenòve” e “Castello” che, immancabilmente, finivano sempre in offese... fino a quando i “castellani”, capitanati dallo stesso Pina, non sparivano dalla vista degli avversari dal muro della “Fonte di Marmo”.

Ma gli anni trascorsero in fretta e una nuova generazione prese il sopravvento e il potere del “Pistino” (dal 1990 al 2000): la classe 1974, 1975 e 1976. Al nostro arrivo, così, ci si permetteva di “scacciare” i più piccoli che avevano occupato il rettangolo di gioco e dar vita alla famosa “selecao” (ereditata dai più grandi), aprendo le porte, però, alle “nuove promettenti stelle”, tra le quali: Della (classe ’78), il “portiere para rigori” (soprannominato anche P.N.P.); il mingherlino giocatore Mapo (classe ’79), che, con la sua eterna maglietta rossonera di Inzaghi, stazionava in tre metri per tre metri davanti la porta in attesa di agganciare qualche pallone vacante da spingere in rete; il giovanissimo Francis (classe ’82), regista talentuoso e, allo stesso tempo, bomber per tradizione familiare; il "capelluto" Sascino (classe ’78), dall’esterno micidiale, e, infine, i tre fratelloni Algido (classe ’78), Ruben (classe ’80), con “passaporto” pugliese, e, il più piccolo, Saba (classe ’83). Continuavano a giocare con noi, tuttavia, anche alcune delle intramontabili “vecchie glorie” prima nominate ma c’era sempre il pericolo di trovarsi di fronte al povero Pedro che si presentava in campo non con normali scarpe da tennis, bensì con dei lucidi “camperos”: se in un’azione ti marcava stretto, presso l’angolino, l’istinto ti diceva di “buttar” via subito palla prima che uno “stinco” potesse esserti da lui “cresimato”. Anche tra i più giovani, però, emerse qualche picchiatore, come lo juventino Pero, che, ispirandosi al difensore Jurgen Kohler (correva l’anno 1991), aveva sempre il vizietto della scivolata: o gamba o palla!

Il vero giorno dedicato al “Pistino” era il sabato pomeriggio... giorno sacro, intoccabile: il tempo di rientrare da scuola, mangiare qualcosa e via... all’appuntamento delle 14:30! Non si poteva mancare... assolutamente... ed il morale lo avevi a terra, quando, per qualsiasi motivo, dovevi dare forfait. Ricordo, anche sotto il periodo del militare (avevo vent’anni! - correva l’anno 1995/96), di essere scappato il sabato mattina da Chiavari (con permesso giornaliero), dove prestavo servizio, per presentarmi alla partita pomeridiana del “Pistino” e rientrare in caserma entro la mezzanotte. Spesso, dopo cena, venivo poi accompagnato alla stazione di Cecina dall’amico Nano (classe ’75) con la sua “Mucca”, una Renault 5.

Arrivarono, poi, gli anni d’oro di Alex Del Piero che lanciò la moda di indossare dei calzettoni con particolari nastrini, i quali feci subito imitare e realizzare, appositamente per il “Pistino”, dalla mi’ nonna Argia. C’è chi scendeva al “Pistino” dalla “Fonte di Marmo”, chi spuntava dalle “Case Popolari”, chi, persino, veniva a piedi dalla campagna, come lo stesso Nano, e chi, invece, molto più comodamente, in motorino, in vespa e, nel tempo, con la macchina. Sparu arrivava sempre a gran velocità facendo “fischiare” le gomme del suo pandino “Predator” (dotato all’interno di qualsiasi accessorio) a partire dalla curva della palestra per concludere, poi, con il classico freno a mano nel piazzale.

Durante la fase di riscaldamento si incominciavano a formare le squadre, solitamente fatte dai più “anziani” ma, la prima scelta ricadeva sul portiere... ruolo molto delicato da ricoprire, soprattutto quando mancavano il Della, Butra, Davidana o lo stesso Sparu, per il fatto che nessuno voleva mai andare in porta. Allora scattava la rigorosa regola: “Ad ogni gol subito, a turno... si gira...!”.

Caratteristico, comunque, il portierone Sparu (classe ’72) che si distingueva per la sua tenuta sportiva con: parastinchi, pantaloni lunghi imbottiti, con sopra quelli corti altrettanto imbottiti, polsini per il sudore e ginocchiere; dietro la porta, invece, l’acqua, o meglio... una cassa d’acqua... sempre bene prevenire! Acqua che ordinava al primo bimbetto che si trovasse nei paraggi:

- Bimbo, vieni qua! Prendi questi sòrdi e vai su dar Piacentini: a me... mi compri una cassa d’acqua e un “ghetorade”! Con il resto, invece, compratici il cazzo che ti ci pare... vai... e moviti...!

Non era la maniera più educata... ma il buon cuore di Sparu faceva sì che anche l’acqua ci fosse per tutti, mentre al giovane la giusta ricompensa in cambio del favore.

Si giocava rigorosamente con il pallone “Tango” (con il “Maradona” o con il “Platinì”), il classico a scacchi (£ 5.000), anche se in periodi alterni spuntava quello di cuoio. Appena giunti al “Pistino” scattava la premurosa e prevedibile domanda:

- Chi lo porta il pallone?

E puntualmente... il “geloso possessore e custode” della sfera (solitamente si trattava di Puti) gridava:

- Io, l’ho portato io...!

Pallone che, prima della partita, veniva nascosto in modo da non permettere a qualche “piede a banana” di tirare subito la sfera giù per la strada; ma il tempo di iniziare la partita che già il pallone usciva dalla balaustra, lato “Case Popolari”, e aihmè...: scivolava lungo l’argine fino alla strada! A questo punto c’era da scendere e correre in fretta prima che la palla si involasse, sempre più veloce, nella discesa che dalla Palestra si innesta in quella di Via dei Molini; fortuna vigeva un’altra regola: “Chi ce lo butta, ci va...!”.

Poteva andar meglio, invece, quando il pallone finiva negli orticelli delle “Case Popolari” ma c’era sempre il rischio di prendere qualche “rimbalzata” dai proprietari preoccupati per i propri fiori e ortaggi; ci fu anche chi tentò, più volte, di sequestrarcelo. Una volta, infatti, la palla cadde nell’orticello della Silviaccia che fu lesta a portarsela in casa. Arrivò, però, il giorno della gran vendetta: una sera, gli assidui frequentatori del “Pistino”, appostatisi a perfetta “distanza di tiro”, incominciarono a scagliare dei sassi, sempre più grossi, contro la porta di casa della Silviaccia fino a quando, un forte tintinnio di vetri, dette vita ad un fuggi fuggi generale. Ora vi domanderete... e l’artefice? Risposta scontata?! Il solito Tripoli?! No, questa volta... Macario.

I mesi trascorrevano inesorabili, così come le lunghe “lotte” tra noi ragazzi ed i residenti delle “Case Popolari”, compresa naturalmente la solita Silviaccia, che, un bel giorno, si presentò al “Pistino” con il pallone appena raccattato dal suo orto. Tutta infuriata entrò nel “rettangolo” dotata anche di coltello: a quel punto Macario prese una manata di ghiaia scagliandogliela contro, poi, avvicinandosi, mentre si faceva scudo con il divelto cancellino rosso, riuscì di prepotenza a strapparle il pallone di mano.

Tuttavia... neppure le intemperie riuscivano a fermare le partite. Il merito era tutto del Vagellino (classe ’74): l’unico calciatorino a indossare in partita i pantaloni lunghi; i suoi preferiti? Quelli verdi dell’Arma dell’Esercito, ereditati dopo il “funesto” servizio militare (correva l’anno 1993/94) del quale rimase ossessionato per due motivi: il primo, per il fatto di trascorrere moltissime ore in treno (come diceva lui: - Pigiati come bastardi!) per raggiungere un paesino sperduto del Friuli (sede della caserma); il secondo, proprio per l’arduo tragitto che doveva affrontare, percorso imparato a memoria e che ripeteva agli amici durante i giorni di licenza: - Castagneto/Cecina, Cecina/Livorno, Livorno/Pisa, Pisa/Firenze, Firenze/Bologna, Bologna/Mestre, Mestre/Venezia, Venezia/Udine, Udine/trenino della giungla... Remanzacco-paese dei balocchi... arrivati! Tuttavia, con la segatura portata in un sacco dal Vagellino, grazie al suo “fedele” e intramontabile motorino CIAO bianco, si provvedeva a far asciugare in terra per poi ripulire il tutto con l’aiuto di una granata.

Le partite erano “maschie”, ardue, dure... però mai cattive, anche con l’entrata in campo di qualche veterano che non sapeva resistere alla tentazione del pallone; in primis Dioghiaccio, incubo dei più timorosi, tutto esterno e tanta grinta con una scivolata secca: o gamba o gamba! Non sempre, purtroppo, i pomeriggi calcistici prevedevano la presenza dei giocatori più talentuosi e, quindi, per far numero, c’era da reclutare anche qualche “riserva” che al calcio era poco interessata. Una volta, infatti, quasi al termine di una partita, Tina ebbe dei crampi così al giovane Matusa, che si trovava vicino a lui, gli fu urlato: - Tiragli la gamba?!

Matusa, che si intendeva più di motori e di circuiti elettrici, senza farselo ripetere due volte, anziché di pigiargli il piede, come è consuetudine fare in queste situazioni, incominciò, con forza, a trascinarlo per il “Pistino”; tutto si concluse con una risata generale e con qualche “pattone” contro l’inesperto calciatorino. Tuttavia non mancarono battibecchi, ben animati, degenerati anche in scazzottate. Me ne ricordo una, in particolare, tra i due fratelli: Spank (classe ’73), ben piazzato, e il Prof. (classe ’74), magrolino. Ci fu un parapiglia generale con un “gancio” scagliato da Spank verso il fratello che, fortunatamente per l’uno, e, sfortunatamente per l’altro, finì per colpire il lampione causandosi una forte contusione alla mano. Durante il sabato calcistico si riuscivano a fare un paio di partite, fino a che non calava la sera. Poi, per i meno stanchi e per i più temerari, all’accensione dei lampioni, iniziava il super torneo individuale: il “Bebeto”, inventato da Macario; un mini torneo dove ci si sfidava, a turno, due contro uno e dove si applicavano particolari regole nel punteggio.

Gli spettatori del “Pistino” erano sempre pochi ma buoni: qualche ragazzetto che bramava di entrare in campo, qualche fidanzatina, o qualche ragazzina che veniva a scuriosare con la speranza di trovare lì il giovanotto di cui si era innamorata. A periodi alterni, però, c’era l’apparizione di un “baldo” ragazzone, che, abitando a poca distanza, e sentendo le voci provenire dal “Pistino”, giungeva di corsa tutto sudato, con la speranza di vedere tra il “pubblico” la ragazza di cui si era infatuato. Una volta, forse, illuso per non averla trovata lì, si posizionò immobile, senza fiatare, dietro una porta, appoggiando i gomiti sulla ringhiera e con faccia sporgente sopra la traversa; si capì subito che quella posizione gli sarebbe stata fatale: bastarono poche azioni che, un gran tiro calciato maldestramente, indirizzato sicuramente nel Piazzale delle Scuole, lo prese pienamente in faccia; ma, nello stupore di tutti, il “baldo” giovane non fece una piega, una mossa! Non pronunciò parola... ma emise solo un flebile suono... una smorfia di dolore, rimanendo ancora fermo in quella posizione per altri minuti. Qualche furbacchione, a quel punto, gli urlò il fatidico nome della “sua bella infatuata” facendogli capire che l’avrebbe trovata in paese e, senza pensarci due volte, il “ragazzone” si allontanò ansimando, a passo svelto, lungo la salita che porta alla “Fonte di Marmo”. Tra gli attenti intenditori e osservatori di calcio c’era spesso la presenza di Amigone (classe ’71), con taccuino e occhiali da sole, ma solo nei periodi di vacanza, causa lontananza dal paese abitando a Firenze. Avevamo inculcato al teorico, pragmatico, matematico, statista Amigone di farci da allenatore nei tornei e in alcune partite amichevoli. Lo stesso Amigone si adoperava molto per questo ma fu sempre tutto inutile: risultati negativi e, di conseguenza, infamate generali da parte dei sui giocatori che se la prendevano con lui per gli schemi adottati. Ma la sua indole bonaria faceva sì che sopportasse ogni nostra critica e provocazione; ma, tuttavia, per farlo arrabbiare di brutto, bastava rivolgergli la seguente e fatidica domanda: - Amigone, ascolta un po’: ma al mondo ci sono più salite o più discese?! Allora, di fronte a questa "sacrosanta" frase, spariva dalla circolazione: ancora oggi non si è capito il perché...!

Anche il livornese Ilio der Cini, da buon intenditore per la sua gloriosa carriera calcistica nel San Carlo, si dilettava, dall’alto del “Pistino”, a vedere spezzoni di partite ma, immancabilmente, prima di andarsene e scuotendo la testa, indirizzava a qualcuno la sua fatidica frase:

- Bi-bi-bifolchetto e dalla via.... ’gnorantone... gi-gioca come sai... troppi tacchi...!

Pure la domenica pomeriggio, quando la squadra del Castagneto giocava in trasferta, era un buon momento per calcare il “Pistino”: si iniziava, puntuali, alle 14:30 in contemporanea al campionato italiano, posizionando una radiolina dietro ad una delle due porte da permetterci, così, di ascoltare in diretta le partite di serie A! Ogni occasione, ogni scusa era sempre buona per giocare: si tentò anche qualche partita post cena sfruttando la luce dei lampioni.

Mi ricordo, inoltre, una memorabile partita anche per un Primo dell’anno (1990) mettendo in palio tutti i dolci avanzati la sera prima. Al termine della match, però, ci fu il degenero generale; una vera battaglia con lancio di dolci ovunque: ricciarelli, torroncini e panettoni... i più ambiti! E poi come non dimenticare la storica partita con la neve - su un "Pistino" ghiacciato - organizzata eccezionalmente di mattina, sfruttando la chiusura delle Scuole Medie (correva l’anno 1988); fu una gara dalla grande novità: il pallone rosso!

Le partite più temerarie e combattute, tuttavia, erano quelle estive poiché, oltre a essere le più lunghe, andando a sfruttare l’ora solare, vedevano la partecipazione di qualche villeggiante (proveniente anche dal milanese) il quale dava maggior qualità al gioco aumentando così l’agonismo di tutti quanti che volevano mettersi in mostra; il più presente, sicuramente, fu il mezzo castagnetano attaccante Aise, esile di costituzione ma velocissimo nel dribbling con un tiro secco e preciso.

L’era del “Pistino” è stata unica: l’entrata nel campetto, almeno per qualche ora, ti faceva isolare da tutto ciò che ti circondava, compreso il bello o il cattivo tempo e anche da qualche “dolore”...

Macario, bomber di razza, ma dalle movenze un po’ scoordinate, fu un assiduo frequentatore. Sempre presente con la sua maglia rossonera di Dejan Savicevic, si era talmente invaghito di questo rettangolo di gioco (correvano gli anni dal 1992 al 1998) tanto da dedicargli una strofa in parodia (sulle note della canzone We will rock you dei Queen) che riporta queste parole:

Tutti giorni al "Pistino" col pallone di Mapino

noi giochiamo alla palla, siamo noi i taralla

e con Sparu e Gavino, il sapiente Tentennino

l’Amigone sta a guardare e la Silvia a urlare.

Gli daremo barta... barta... Siamo i taralla... ralla...

Dopo cena al Cimitero con Cascione e Granatiero

Tripolino sta a trombare e il Professore a bosseggiare

Caccosà in discoteca, il Peranzi in enoteca

tanto a loro non gli piace e si devono dar pace.

Siamo i taralla... ralla... Siamo i taralla... ralla...

Per la cronaca... di questa canzone esiste fortunatamente una registrazione live in VHS (correva l'anno 1994) realizzata in Repubblica Ceca, durante una gita organizzata dalla Scuola di Musica, con il Prof. trascinatore della comitiva castagnetana. A proposito di Macario, una volta, già più grandicello, preso dalla frenesia per essere in ritardo alla consueta partita del sabato pomeriggio riuscì, facendo una manovra azzardata, a schiantare la ruota della macchina andando a sbattere nel muretto del Piazzale della Palestra. L’amore per il “Pistino”, la “fame” per il goal e per lo stare in “vetta” alla classifica dei capocannonieri, spinsero Macario a tenere un quadernino dove segnava, giornata per giornata, sabato dopo sabato, tutte le reti messe a segno, non solo quelle personali ma anche quelle altrui. Un bel giorno, però, in assenza di lui, qualche furbacchione pensò bene di scalzarlo dalla vetta di capocannoniere, assegnandosi qualche goal fasullo.

Ancora oggi, scherzosamente, quando incontro frettolosamente qualche amico, assiduo frequentatore di un tempo, scatta spontanea la domanda: - Oh, ma quando si va al “Pistino”?! E non mi vergogno a dire che in questi ultimi anni si è tentato di organizzare almeno una partitella “d’addio” come i veri calciatori sul finire della carriera ma sempre con esito negativo... il tempo sfugge... ma i bei ricordi del "Pistino" non si cancellano!

Ma dove sono stati tirati i primi calci al pallone? Sicuramente in piazza “Sambastiano”, all’età di cinque anni, quando ancora le macchine non erano un problema: si giocava con il “Super Tele” comprato a £ 1.500, rigorosamente dar Maggi, con una colletta da parte di tutti. Però, dato il fine spessore della gomma che costituiva la sfera, si poteva facilmente bucare: se ne potevano comprare anche due al giorno!

In I° Elementare (correva l’anno 1981), con l’inizio del catechismo, si incominciò il sabato pomeriggio ad andare all’oratorio, situato in via Umberto I, con accesso anche dal grande “Cancellone” di ferro, in Via "Cavour". Si trattava, naturalmente, dell’ex “Asilo delle Suore” che in molti avevamo frequentato. Così, dopo l’oretta di catechismo, durante la quale Tripoli non mancava mai, da sotto i piccoli tavoli, di lanciar pedate negli stinchi alla Nadina facendola arrabbiare (- è stato-to-to Leleeeee-lele-lele...!), ci si apprestava a calpestare il piccolo cortile: un campetto che negli anni era stato rigenerato da padre Andrea; il terreno in terra battuta, ricoperto da un po’ di ghiaia, era perfetto. Le porte, invece, erano state realizzate, sempre dallo stesso padre, sfruttando come pali anche un paio di alberi naturali. Come pallone, a differenza di tutti gli altri campetti, si utilizzava il “Super Santos” (£ 2.500), di color arancione e con bande nere: poco più duro del “Super Tele” ma perfetto per quella superficie. Si giocava anche per diverse ore, pre e post catechismo; gli unici “handicap”, però, erano la campana, che poteva rintoccare a causa di qualche tiro maldestro, e la nicchia con la madonnina... fino a quando una pallonata vagante finì proprio lì... dentro... non ricordo l’artefice del tiro ma la statua ebbe la peggio. Le partitelle avevano buoni ritmi dato che il pallone rimaneva assai in campo ma c’era sempre il timore di tirare verso la porta piazzata lato “Case Popolari” (in via Umberto I), perché la traversa arrivava quasi all’altezza del muro di cinta: bastava calciare poco più in alto perché la palla finisse fuori. Nella migliore delle ipotesi il pallone restava in via Umberto I, altrimenti finiva dritto, dritto nell’argine delle Scuole Medie o in quello confinante del “Pistino”. Anche qui vigeva la legge del: - Chi ce la butta... ci va! Quindi, se il pallone terminava negli argini, c’era da scendere giù interrompendo il gioco per diversi minuti; fortunatamente ci si poteva calare, con un po’ di abilità, dal muro che costeggia la strada. Con l’inizio della bella stagione, però, c’era da stare all’erta perché iniziavano le prime lamentele da parte della Marì der Giuntini contro la polvere che, dal campino, saliva in alto verso il suo bucato appeso ai “fili” delle finestre. Fu così, per evitar discussioni, prima di iniziare le partite dovevamo bagnare con la sistola, o a secchiate d’acqua, tutto il terreno di gioco. C’erano da sopportare, inoltre, anche le lamentele da parte dell’Elba (mamma dell’Anna der Pisaneschi), ovviamente quando il pallone si infilava nel viottolino e giungeva nell’orto dove la donna era intenta a coltivare i propri ortaggi. Raramente tra noi ragazzetti avvenivano delle scaramucce... ma, una volta, a termine partita, il solito Tripoli, per gioco o per scherzo, tirò, dall’alto del “Cancellone”, il manico di una granata che andò a colpire, vicino all’occhio, il malcapitato Caccosa’ (classe ’77): fortunatamente nulla di grave... solo un gran spavento e qualche punto di sutura! Con gli anni, il sabato pomeriggio, si arrivò persino a disputare una doppia partita: quella pre-catechismo e, poi, subito dopo, quella del “Pistino”!

Con le Medie (correva l’anno 1986/87), tuttavia, iniziarono sempre al sabato pomeriggio, le trasferte al campo del “Felciao”, situato nei pressi di un bel podere al quale si accedeva addentrandosi in una "viuzza", all’altezza di “Campastrello”. Pico, compagno di classe, era riuscito a farsi fare, dal proprio babbo, questo campettino in erba circondato da ulivi. A quel tempo, il giorno, mangiavo a casa di mia nonna, la quale abitava sopra il Bar “Black&White”, quando, alle 14:00 in punto, arrivava Macario e, dopo avermi chiesto le solite 200 £ di ferro che gli gettavo dalla finestra, si precipitava nella cabina del Bar per recuperare gli ultimi giocatori: non esistevano ancora i cellulari! Era il periodo che quando cercavi un amico, a qualsiasi ora del giorno, bastava chiamare al Bar al classico numero  0565 763621 e sicuramente qualcuno... ti avrebbero passato; a quel punto... l'amico, che si trovava nella sala giochi o da fuori del locale, si sarebbe precipitato a rispondere all'interno della mitica cabina che ancora oggi sopravvive; cabina "compagna" di piacevoli momenti, soprattutto il fine settimana, quando a turno ci apprestavamo a chiamare qualche amichetta o fidanzatina del momento distante dal "paesello": erano entrare in commercio le prime carte telefoniche in plastica (correva l'anno 1990) che divennero una mania di collezionismo, le quali raffiguravano città o eventi come, appunto, quelle emesse per celebrare i mondiali di calcio di "Italia '90". Proprio al “Felciaio” si incominciarono a indossare le prime scarpette con i tacchelli in gomma: ne ricordo una lunga serie comprate negli anni, come le indimenticabili “Totò Schillaci”, acquistate dopo le “notti magiche” dei Mondiali di "Italia ’90". Apro una breve parentesi su "Totò": quando nel settembre (correva l'anno 2024) giunse la notizia della sua scomparsa, anch'io, legato ai ricordi di gioventù del calciatore, volli raccontare - tramite messaggio - un aneddoto a "Radio Sportiva" poi mandato in onda. Tuttavia... stavo dicendo che, in quel campetto da gioco, iniziarono a mettersi in evidenza alcuni promettenti atleti: da una parte, il portierino castagnetano Butra (classe ’75), che da qui a qualche anno, sarebbe diventato pedina fondamentale della giovane squadra dell’U.S Castagneto mentre, dall’altra, il portierone Aiace (classe ’76), dall’enorme stazza fisica per la sua età. Al “Felciaio” si giungeva con qualsiasi mezzo di fortuna, anche a piedi delle volte, passando dalla discesa di “Mandrolino” e tagliando, all’interno, per qualche strada di campagna; solo i più grandicelli, già motorizzati, arrivavano con le proprie Vespe o motorini.

Con il tempo (correva l’anno 1989), soprattutto tra settimana, cominciarono finalmente i primi “calci” nel “Campo Sportivo”... quello vero “dei Cipressi”. Inizialmente entravamo di nascosto, saltando il cancello o la rete, naturalmente aspettando che il custode se ne fosse andato; ci bastava fare qualche tiro in porta... era un sogno essere lì! Quando poi la schiera di ragazzi si fece sempre più numerosa chiedemmo il permesso, all’allora presidentissimo elbano, Gastone Carletti, di giocare liberamente e, avuto il suo consenso, si organizzarono subito, al sabato pomeriggio, alcune mitiche sfide tra “Borgo” e “Castello” ma, difficilmente, si arrivava a disputarle in 11 contro 11; spesso anche 9 contro 9. Mi ricordo benissimo che, presi dalla bramosia di una partita, un sabato pomeriggio, padre Andrea ci anticipò pure la confessione; dopodiché tutti di corsa in campo a “espiare” i propri peccati.

In III° Media, nella primavera di quello stesso anno (1989), fu anche organizzata la partita tra sezione B, dove c’era un lunga schiera di castagnetani, contro sezione A, militata da bolgheresi e sassetani: ci fu una grande attesa dovuta alla forte rivalità. La sezione B poteva vantare sull’esperienza del talentuoso Chino che giocava negli Allievi del San Vincenzo. In lui, infatti, era riposta tutta la speranza di trascinare la squadra alla vittoria ma, purtroppo e non si è mai capito il perché, dette forfait... forse preferì una “scappatella mattutina” invece che la partita?! Può essere... provate a chiederglielo oggi...! Tuttavia il match ebbe ugualmente esito positivo: segnai il goal vittoria... finì 1 a 0! Quella mattinata me la ricordo benissimo (peccato non le formazioni) per il fatto che, durante la corsa di riscaldamento, riuscii a evitare di calpestare una vipera in “bella mostra” sul terreno di gioco.

A settembre, visto sempre il più folto numero dei ragazzi che si erano e che si stavano avvicinando al campo, la Società del Castagneto, grazie alla volontà del suo presidente, decise di aprire una “scuola calcio” sotto la guida del castagnetano Beppe der Materozzi, dal glorioso trascorso calcistico. Si creò, subito, anche una piccola squadra disputando alcune amichevoli che ebbero dei risvolti positivi e dove incominciarono a emergere alcuni calciatorini come il piccolissimo ma tenace, veloce e grintoso difensore Nano. La Società si convinse che, con qualche innesto, l’anno successivo la squadra avrebbe potuto partecipare al “Campionato Allievi”: e così fu! Prendemmo parte al campionato (1990/91) con le partite che si svolgevano di domenica mattina: fu per tutti noi la consacrazione di un sogno! La guida tecnica, naturalmente, rimase affidata a mister Beppe che, fin dai primi giorni di preparazione, insegnò subito, ai più smaliziati, qualche trucchetto del mestiere. La preparazione iniziò a fine agosto con lunghe corse verso “Bagnoli”, naturalmente sotto l’attenta sorveglianza dello stesso Beppe che ci seguiva in motorino portandosi dietro le bottiglie d’acqua con qualche integratore, novità per quei tempi, al gusto di limone o arancia. Dopodiché tutti in campo, dal bel manto erboso, a fare altre corse, esercizi fino alla partitella. Riforniti di tutto quanto potesse esserci utile, oltre l’immaginabile, ci sentivamo dei veri calciatori: tute da allenamento, maglina “della salute” in lana, felpa di cotone, k-way, giacca a vento, pantaloncini, borsa e tuta, tutto completamente azzurro, rispettando i colori ufficiale del glorioso U.S. Castagneto; sponsor ufficiale, naturalmente, “Securpol Vigilantes”, società del presidentissimo Gastone.

Eravamo, per la maggior parte, ragazzi di paese... qualcuno della campagna e con alcuni “innesti” provenienti da Cecina e da Monteverdi. La fiducia, però, era tutta affidata nel “fuoriclasse” Chino, pupillo del presidentissimo il quale arrivò perfino a comprargli delle scarpette da gioco. Chino, “strappato” al San Vincenzo, indossava la maglia numero dieci: era il vero fantasista di una volta... libero di agire e di inventare dietro le due “punte” (Pacione e Macario) ma con l’obbligo di fare anche goal.

Questa la formazione... del calcio di un tempo... quello vero:

                                                        1. Butra (portiere)

                                                            4. Tina (libero)

       2. Cuchi (terzino destro)      5. Diga (stopper)      3. Nano (terzino sinistro, fluidificante)

          7. Suino (ala destra)        4. Prof (mediano)      8. Pero (ala sinistra)

                                                      10. Chino (il fantasista)

                   9. Pacione (prima punta)           11. Macario (seconda punta di movimento)

Una formazione tutta castagnetana con Puti, terzinaccio di spinta, pronto a entrare... quando si ricordava di svegliarsi la mattina, specialmente per le trasferte all’Isola d’Elba; così, immancabilmente, c’era sempre da chiamarlo e aspettarlo! Come appena citato, militavano nella rosa anche altri ragazzi che venivano dai paesi o cittadine limitrofe... ma ho voluto ricordare una formazione tutta castagnetana che di poco si discostava da quella “tipo”. Per le trasferte c’era l’immancabile pulmino della società: sempre accompagnati dall’autista Che Duilio, guardalinee all’occorrenza, dal massaggiatore Croccolo di Donoratico, e, infine, da Magdalo Valori, dirigente. Naturalmente si faceva a corsa per montare sul pulmino, sia per il fatto di stare in gruppo sia per evitare di salire sulla macchina dell’altro guardalinee Pedro, che, con la sua Peugeot rossa, abusava in velocità e in guida spericolata... insomma c’era da tremare e da farsi il segno della croce... ogni volta che ci salivi sopra! Pedro, dal carattere un po’ irrequieto e maldestro, cercava sempre di incoraggiarci e spronarci... ma in che modo? Se la partita si metteva male, al rientro in campo dopo il primo tempo, si posizionava sull’uscio dello spogliatoio iniziando, con forza, a “menare sbandierinate” sul capo di chiunque di noi gli fosse capitato a tiro; l’unica maniera per evitarle era quella di uscire di corsa con la speranza di non essere colpiti.

Il sabato sera ci ritrovavamo alla pensilina del pullman, presso la “Fonte di Marmo”, a parlare della partita che avremmo dovuto affrontare... una sorta di mini ritiro; rammento che nel pomeriggio, però, c’era stata anche la “sacrosanta” partitella al “Pistino”. Si mormora che, durante la vigilia delle prime partite, alcuni di noi non riuscissero a prendere sonno, specialmente la notte del debutto ufficiale in campionato. Non ci poté, infatti, essere peggiori inizio debuttando nel campo più ostico e rivale di tutto il campionato: Donoratico! Un derby... alla prima! Si giocò di mattina, come da prassi, e non ricordo il perché indossammo la seconda maglia di riserva che recava strisce verticali di color giallo e rosso. Quella del Donoratico è sempre stata amaranto, la nostra, invece, azzurra con pantaloncini bianchi. C’era molta emozione perché si trattava di una gara ufficiale, la prima... molti di noi non ne avevano mai fatta una e poi c’era il fatto di giocare un derby con i rivali di sempre: i "granocchiai”! Si giocò, fortunatamente, nel piccolo campino del “Bagicalupo”: pronti, via... e subito U.S. Castagneto in vantaggio; goal di un cecinese! Scene mai viste... con Beppe incredulo ma, in cuor suo, sapeva benissimo che non sarebbe finita così! Ben presto, infatti, il sopravvento dei più forti e organizzati avversari si fece sentire: non vi racconto il resto della cronaca... chi c’era, sicuramente, se la ricorderà... tuttavia uscimmo dal campo con una sonora sconfitta ma a testa alta. La partita di ritorno a Castagneto, invece, fu un sacrosanto 0 a 0. Quell’anno non fu un campionato di grande livello ma di bassa classifica anche se ci levammo alcune soddisfazioni; tutto servì per fare esperienza. Ogni campo da gioco in trasferta era veramente ostico ma pure il nostro di casa: quello dei “Cipressi”. Non c’era da stare allegri durante gli inverni rigidi quando il lato di campo sotto la tribuna si ghiacciava. Le trasferte più temerarie, però, furono quelle all’Elba: c’era da svegliarsi alle 5:30 del mattino, prendere la nave delle ore 7:00 al porto di Piombino, sperare che il mare fosse stato calmo per evitare di “rimettere” a causa del mal di mare e augurarsi che, nella mattinata, non si “alzasse” il libeccio che avrebbe potuto mettere a rischio il rientro a casa, causa annullamento della corsa della nave. Fatto sta che una volta si verificò veramente: dovemmo così affrontare la nottata in un albergo di Portoferraio per la gioia di tutti noi ragazzi dato che la mattina seguente facemmo festa a scuola. Ma il grande sacrificio e pericolo della trasferta elbana poteva essere sopperito, per un momento, con la bella colazione che ci veniva offerta grazie alla generosità del presidentissimo, preparandoci dei bei panini imbottiti di salumi da divorare di prima mattina... e poi, come se non bastasse, altra colazione sulla nave... naturalmente sempre offerta. Poi, però, una volta effettuata l’attraversata e scesi in campo, c’erano da affrontare i forti ragazzi elbani, soprannominati da Puti i “capretti isolani” per la loro forza fisica e grinta agonistica: noi... ancora “gracilini” mentre loro robusti e già barbuti... e c’era sempre da mettere in conto anche qualche scazzottata. Mi ricordo una combattuta partita nel campo ostico del Rio Marina: si giocò in un mare di fango... tuttavia Macario riuscì a segnare uno dei suoi goal... di rapina; ma la reazione dei locali e il nervosismo non si fece attendere, specialmente da parte nostra: Chino ne combinò una delle sua! Nel corso della gara aveva già preso un’ammonizione e, mentre l’allenatore Beppe e il massaggiatore Croccolo gli urlavano disperatamente di stare calmo, dopo l’ennesimo “battibecco” e protesta rivolta all’arbitro, questo gli esclamò, mostrandogli il secondo cartellino giallo:

- Dieci, lo vede questo?!

Sì...! Quer cartellino se lo ficchì tutto in culo...! - gli rispose Chino con “educazione” e dandogli “del Lei”.

Nella disperazione di tutti la partita proseguì con molta paura dovendo terminare gli ultimi minuti di gara in dieci uomini che, infatti, furono fatali. Un pallone innocuo sfilò dalle parti del nostro portiere Butra che, piegandosi per raccoglierlo, se lo fece passare tra le gambe: 1 a 1 e partita finita tra la disperazione di noi tutti! Dopodiché, come sempre, di corsa a far la doccia e via... sul pulmino per non perdere la nave. A proposito del Butra, come tutti i portieri era un po’ pazzerello. Aveva preso il vizio, quando si arrabbiava o discuteva con gli attaccanti, di rinviare il pallone di piede, con tutta la forza possibile, cercando di far passare la palla molto vicina all’avversario, delle volte colpendolo pure: non vi dico in quante occasioni ha rischiato di prendere il “flescino”!

Mi ricordo, purtroppo, anche di qualche debacle, per la disperazione di mister Beppe. Subimmo una sonora sconfitta a San Vincenzo... mentre un’altra simile a Follonica dove ci fece un goal di testa anche il portiere avversario che era salito, fin dentro la nostra area di rigore, su un calcio d’angolo; per la cronaca, quel giorno, in porta c’era Pacione che si improvvisò portiere per la mancata presenza di quelli titolari. Ci fu anche una piccola debacle in casa... proprio al “Campo dei Cipressi”. La partita era iniziata da non molto quando mi sentii urlare dal mio babbo, “altalenante” tifoso, che era appena arrivato per assistere alla partita dall’alto del piazzale:

- Stamani al terzo goal me ne vado...!

A quel punto, a malincuore e alzando gli occhi in alto cercando di scorgere la sua figura, gli gridai:

- Allora vai...?! (stavamo già perdendo 3 a 0).

Tifoso vero, invece, sempre presente alla partite in “casa”, fu il Nittolo, falegname di Donoratico, che aveva, come idolo il Diga, al quale non mancava mai di gridargli la solita frase di incoraggiamento:

- Vai Diga...! Sei il meglio ciocco di bottega!

Non mancarono, però, anche simpatici “siparietti” durante le trasferte. Si partì alla volta di Livorno con il solito Che Duilio, autista, e Dedo Barsacchi, capomacchina, altro dirigente. Giunti alla California una pattuglia dei Carabinieri ci ferma:

- Favorisca i documenti? - chiese un Carabiniere a Che Duilio.

- Che... che... che... sono... che... senza... che... documenti... che... che... che... li ho... che... lasciati... che... tutti... che... a casa...! - gli rispose Che Duilio tartagliando... in maniera titubante.

A quel punto intervenne Dedo che cercò di far chiarezza ma, per sua sfortuna, parlando con un “fil di voce” riuscì solo a confondere le idee al graduato. Il Carabiniere, a quel punto, vista la situazione, esclamò in maniera disperata:

- Ragazzi...?! E meglio che andate... altrimenti fate tardi!

Sempre Che Duilio dovette accompagnare alcuni di noi a fare la consueta visita sportiva a Rosignano Solvay. Da buon “passionista donnaiolo”, però, prese la strada un po' "ariosa" passando dalla Via "Pisana", famosa a quel tempo per la sosta delle "signorine", quando, alla vista di una di queste, le si accostò con la macchina:

- Qua... qua... qua... quanto vòi..? - le chiese Che Duilio.

-  A te... ’un te la dò! - gli disse quella risentita.

A quel punto Che Duilio, ferito nell’orgoglio, le rispose:

- Che... che... che... tanto... che... ’un me ne frega... che... niente...! Perché a te... che... che... che... t’ho... che... già belle... che... trombata...!

L'anno successivo partecipammo, invece, al campionato “Juniores” (1991/92): qualche rinforzo ci permise di fare il salto di qualità. Questa volta, però, le partite si svolgevano il sabato pomeriggio, quindi, giusto il tempo di rientrare a casa da Scuola e via... tutti pronti per la consueta partita. E non possiamo dimenticare le cene organizzate appositamente anche per i “suoi bimbi” - come ci definiva e riteneva il presidentissimo - con l’ambizione di arrivare in “prima categoria” con la prima squadra. Me ne ricordo due in particolare: una al ristorante “La Torre” con Che Duilio alquanto “alticcio”. A tarda notte gli ci volle un po’ di tempo per capire che le chiavi con cui voleva aprire il pulmino non erano quelle giuste... bensì quelle di casa sua! A quel punto il Prof., per precauzione, intervenne:

- Sarà meglio che io monti davanti?!!!

Si mise, infatti, a fare il “capomacchina” con l’intento di tirar subito il freno a mano se qualcosa fosse andato storto: c’era da affrontare la tortuosa discesa che dalla "Torre" porta sull’"Accattapane". La seconda cena, invece, che si svolse presso il ristorante “L’Orizzonte”, si concluse rincorrendosi nei campi: brancolando nel buio, in diversi, si finì a metà gamba nel bottino... inutile dire la puzza che si emanò dentro il pulmino sulla strada del ritorno.

Il divertimento, però, non scaturiva soltanto dalla partita di campionato ma anche durante gli allenamenti: rigorosamente il martedì e il giovedì alle ore 15:00... tutti puntuali escluso Macario che, per recuperare tempo, partiva da casa, in via Fontanella (vicino la Palestra), con le scarpe da calcio già indossate... quelle tacchellate... naturalmente in ferro! Lo si sentiva arrivare, grazie al rumore causato dai tacchetti sull’asfalto, quando girava l’angolo in cima al piazzale del campo sportivo. Riguardo a Macario è sempre rimasto a tutti impresso un suo vizietto: in allenamento, ma anche in partita, teneva un fazzoletto di stoffa che faceva sporgere dai pantaloncini. Appena l’azione si fermava, e ne sentiva il bisogno, si dava una soffiata di naso e, dopodiché, lo ripiegava mettendoselo a posto... un gesto che faceva sorridere tutti quanti. Dopo l’allenamento non mancava mai il classico tè caldo preparato dai vari custodi che si sono susseguiti nel tempo a partire da Piero Ferrini, con il fedele cane “Frasca”, pronto a sgridare bonariamente tutti coloro che si attardavano sotto la doccia specialmente il nipote portierone Pagnone che si allenava sia con gli Juniores che in prima squadra; poi fu la volta di nuovi custodi tra i quali il Pipi di Donoratico e, dopodiché, la coppia “pittoresca” Romario-Nicòlètta.

Molti di noi, delle volte, si attardavano nello spogliatoio non solo per far chiacchera ma anche per altri “giusti” fini. In quegli anni era stata istituita pure una squadra femminile, così, qualche furbetto, Chino in primis, si era accorto che da un “buco” dello spogliatoio si poteva intravedere (nell’altro comunicante) non solo qualche coscia ma anche molto di più... tanto da creare una sorta di rotazione tra i ragazzi.

Il terzo anno fu ancora la volta del campionato "Juniores” (1992/93); il più convincente sotto il profilo dei risultati. Dopodiché, a fine campionato, la squadra si sfece per i nostri limiti di età; alcuni di noi, così, fecero il salto in prima squadra altri, invece, preferirono giocare con gli “amatori” e chi, ancora, attaccò le scarpette al chiodo ma non quelle da tennis... cioè quelle per il “Pistino”. Trascorsi svariati anni da questi fatti fu una bella sensazione ritornare a giocare alcune partite con la squadra amatoriale del Castagneto-Monteverdi (il “Casmont”), proprio in quel campo dei “Cipressi” nel quale non entravo dall’età di vent’anni; calpestare quel rettangolo di gioco, dove avevo condiviso ore di sudore e di divertimento con tantissimi amici, mi fece riassaporare quel clima e quel “sapore calcistico” lasciato tanti anni prima proprio su quel terreno dove oggi non esiste più un campo da gioco bensì uno parcheggio. Il calcio di poi... e di un ieri più recente non mi interessa raccontarlo, se pur piacevole e divertente, perché questo, ricordato fino adesso, è stato quello vero... quello praticato con gli amici di tutti i giorni... prima che le strade, con il tempo, ci avessero un po' allontanato...

Una piccola parentesi, tuttavia, la devo aprire sul periodo calcistico bolgherese: a ventuno anni, nel mese di settembre (correva l'anno 1996), terminato il servizio militare, mi ritrovai senza squadra perché il mio amato U.S. Castagneto chiuse definitivamente i battenti. Frequentando poi l'Università a Pisa non avevo voglia di prendere seri impegni; allora, fui convinto ad andare nella squadra amatoriale del Bolgheri, rinomata all'epoca oltre che per un meraviglioso ambiente anche per grandi cene. Per scherzo e per gioco... ci ho militato più di dieci anni: tantissimi amici, squisite persone, infiniti ricordi... e divertimento assicurato! Se ne combinavano talmente tante fuori e dentro al campo - me compreso - che gli amici di squadra per un Natale mi regalarono addirittura un "tapiro doro"! (correva l'anno dicembre 2000).

Beh... una grossa "cazzata", però, la devo raccontare!!! Le cene per noi ragazzi, organizzate dalla società, erano quasi all'ordine del giorno: disponibilità di strutture, passione dei dirigenti locali e il volontariato delle numerose cuoche che gravitavano attorno alla squadra! Naturalmente il vino, durante le tavolate, non mancava mai... figuriamoci poi a Bolgheri!!! Una sera, un po' "euforici", prendemmo delle bombolette spray trovate nei magazzini e incominciammo a imbrattare varie targhe delle macchine di alcuni amici... poi... come se non bastasse... completammo l'"opera" con scritte proprio sul "Viale dei Cipressi": ancora oggi, quando ci penso, me ne vergogno!!! Non mancò giustamente la sonora romanzina da parte dei dirigenti che, con santa pazienza, insieme a qualche bolgherese, il giorno dopo, riuscirono a togliere quelle scritte e macchie dalla strada! Se l'avessimo combinata oggi mi immagino già la prima pagina del giornale Il Tirreno:

"VANDALI DETURPANO CON SCRITTE IL VIALE DEI CIPRESSI!"

A proposito del giornale Il Tiirreno, c'è da dire che, in quegli anni, puntualmente, nei primi mesi di agosto, mi arrivava la solita telefonata  ad ore insolite da parte del giornalista locale Virgilio Mucci, Giggio, noto per qualche suo articolo "gonfiato e ricamato":

- Scalzini...?! Chi ha comprato il Bolgheri quest'anno?!

Di fronte a questa sua seriosa domanda, rivoltami ad arte, come se fossi un calciatore di serie A, "tra il divertito e il disperato" riuscivo a rispondergli in maniera adeguata "lanciandogli" qualche nome che poi gli sarebbe servito per fare il suo articolo di presentazione della nuova stagione calcistica dell'A.C. Bolgheri.

Concludo il periodo bolgherese con questo simpatico aneddoto: da giorni si aggirava nel paese una piccola volpe, ormai quasi domestica, che si vedeva spesso apparire, passando da alcuni cancelli aperti, anche nel campo durante gli allenamenti. Una sera, lasciando per sbaglio la porta aperta degli spogliatoi, la piccola volpe, senza essere vista, si addentrò nelle stanze e, in breve tempo, fece sparire diverse paia di ciabatte!! Ricordo... che in quel periodo la volpe, nel paese di Bolgheri, ebbe così risonanza tanto da finire su degli articoli del giornale Il Tirreno!

                                                 

1987/88 - Scuole Medie, Classe II° B

Agosto 2002 - In relax ad un festa sull'Accattapane

1986/87 - II° Elementare: in basso "I 4 dell'Ave Maria"

2006 - Gianni e Mario nel "Borgo"

Estate 20204 - Santino

1999 - Cascate di Saturnia

Primavera 2002 - Sul campo d'azione!

Dicembre 2000 - "Ribòtta" nei "Fondi" di Tina con il "bianchino"

"Capodanno" 1993/94 a Kromeriz nella Caserma Militare

Agosto 1994 e 1996 - Sfilate di moda per le vie del "Borgo"

San Silvestro a Kromeriz - Arrampicato sulla fontana

Serata di San Silvestro 1998/99 a Kromeriz

Castagneto 2006 - Il nostro "Pistino"

Estate 1995 - Al "Pistino"

1988 - Due giovani vecchie-glorie del "Pistino"

2023 - La maglia è "Black&White" ma il cuore batte Milan

2023 - La maglia c'è ancora, un po' meno il tocco di una volta!

1990 - Al centro i due fratelli rissosi con il cane "Blu"

Estate 1990 - Il giovane "mister" in maglia canarino

1988 - "Ilio der Cini" presso la macelleria di "Opelio"

1993 - Repubblica Ceca: Il Live di We will rock you (l'inedito)

Aprile 1993 - In Repubblica Ceca

Aprile 1993 - L'armata Brancaleone in gita in Repubblica Ceca

San Silvestro 2000/2001 - A Sofia

1979 - All'asilo e il negozio "der Maggi" in fondo al "Borgo"

La mitica cabina del Bar

Aneddoto in ricordo di "Totò" tramesso da "Radio Sportiva"

Campionato "Allievi" 1990/91

Autunno 1989 - I futuri "Allievi" dell'U.S. Castagneto

Campionato "Allievi" 1990/91

Dicembre 1991 - Negli spogliatoi in "Palestra"

Dicembre 1991 - Con "Pedro" (in alto, il primo da sinistra) per un torneo di Natale in "Palestra" a Castagneto.

Torneo in "Palestra"

Estate 1994 - Una partitella tra amici presso "I Toscanacci"

1991 - "Campo dei Cipressi" - "Duilio": guardalinee e custode

Novembre 1996 - Una mista partitella tra maschi e femmine

Campionato 1993/94 - U.S Castagneto (2° Categoria)

Campionato 1997/98 - A.C. Bolgheri

2000 - La cena "galeotta" e delle "scritte" sul Viale di Bolgheri

Estate 1990 - Per un torneo di calcetto al "Campo dei Cipressi"

1995 - Nel Bar insieme al "vandalo" e il "capelluto"

W. W. rock you (l'originale)

Marzo 2017 - Commercianti in protesta!

Scheda telefonica di Italia '90

Agosto 1995 - "Castagneto in... Tutto moda!"